Fatichiamo a fare gruppo

La sostanziale incapacità aggregativa umana, in assenza di un potere costituito e riconosciuto, può essere ritenuto uno dei principali anelli mancanti fra i problemi ambientali e la loro soluzione?

E’ un’ipotesi, al momento, che se trovasse conferma potrebbe aiutare a comprendere le ragioni di una certa lentezza nell’avvio di programmi di tutela ambientale seri ed efficaci.
Alcuni fattori, o limiti, comportamentali umani ostacolano infatti l’avvio di programmi efficaci di tutela ambientale e riguardano la difficoltà delle persone a lavorare insieme, in assenza di un coordinamento centrale.
E’ una quasi istintiva ritrosia a unire le forze e a fare squadra anche laddove, aggregandoci, potremmo ampliare le probabilità di successo e, più ancora, di accrescere le opportunità di sopravvivenza.
Per quale strana ragione ci comportiamo così? Perché non facciamo niente per cambiare, sovvertendo un’atavica incapacità a fare gruppo nel tentativo di ostacolare, tutti insieme, la corsa verso il tracollo degli equilibri ambientali della Terra? Perché, è ormai assodato che certe “battaglie” si potranno combattere solamente in gruppo, uniti dal desiderio di continuità, verso un obiettivo comune.
Come mai l’impulso aggregativo riscontrabile in quasi tutto il regno animale pare accentuato dalla voglia o dalla necessità di mettere in atto atteggiamenti aggressivi, piuttosto che difensivi? Uno strano meccanismo comportamentale che troverebbe conferma osservando ciò che avviene quando pochissimi predatori, molto ben organizzati, sferrano attacchi mortali verso enormi branchi di animali più piccoli, ma solo apparentemente più deboli e indifesi. Bastano due o tre squali per mettere in fuga migliaia di pesci che, sebbene non siano predatori, se si difendessero in modo coeso e organizzato potrebbero sviluppare una forza ben superiore a quella sviluppata dagli squali, mettendo in fuga i pescecani.
Più o meno allo stesso modo, come può uno sparuto branco di leoni affamati, ma coesi e sinergici, riuscire a catturare animali in branchi che, se compatti, avrebbero molte più chances di salvarsi la vita?
Se ciò accadesse, i predatori sulla Terra sarebbero inevitabilmente estinti. Ma questo non impedisce di ritrovare comportamenti analoghi in ambiti in cui la sopravvivenza viene sacrificata in nome della naturale predisposizione (forse fallace) ad aggregarsi più facilmente per compiere azioni cattive, anziché buone.
Quali strane logiche consentono a una decina di tifosi facinorosi di seminare il panico nei confronti di intere tifoserie che, per quanto tranquille e pacifiche, sono composte da centinaia o migliaia di persone? Se i tifosi si unissero, abbozzando una qualunque tattica difensiva, agli ultrà non rimarrebbe che retrocedere. Invece, non succede e i tifosi sono costretti a fuggire, in preda al panico.
L’istinto, in questi casi, non è in grado di spingere i singoli a trovare forza nel gruppo e alle persone spaventate non rimane che scappare, quale unica chances di salvezza.
Sembra insomma che quando siamo in pericolo o veniamo attaccati riusciamo, per assurdo, a difenderci meglio se siamo soli.
È quasi come se il nostro istinto di sopravvivenza e di difesa, anche strenua, si inceppasse se siamo in presenza di altre persone. Una strana prerogativa non solo umana, peraltro, ma si tratta probabilmente della stessa ragione per cui, laddove dovremmo organizzare azioni realmente coese e coordinate, come nell’ambito della sostenibilità, non siamo istintivamente portati ad unire le forze.
Finiamo così, come accade ora, ad affidare la sopravvivenza solamente alla sorte.

 

È la legge del più forte o c’è dell’altro?
È una logica comportamentale imperfetta, da quanto emerge, che dovrebbe indurre alla ricerca di efficaci contromisure sovvertendo, con la ragione, un istinto che non aiuta, di questi tempi. Più o meno allo stesso modo, una strategia corale potrebbe suggerire eventuali forme di tutela nei confronti dei consumatori quando, ad esempio, multinazionali petrolifere, alimentari o farmaceutiche applicano prezzi sconsiderati con la convinzione, purtroppo confermata, che i loro clienti non sapranno opporre alcuna forma di opposizione o di contrasto che, se attuate, potrebbe senz’altro calmierare il costo dei prodotti o, perché no, spingere i colossi ad una maggiore attenzione all’ambiente o alla sicurezza alimentare.

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