Capire i motivi che stanno spingendo la nostra civiltà sull’orlo di una possibile decadenza è un modo per provare a scongiurarla. Vagliando ogni ipotesi alla ricerca delle cause che stanno ostacolando un processo di sviluppo che ha regalato un’era di sostanziale benessere ad una congrua fetta di popolazione mondiale.
Dall’analisi delle ragioni sottostanti alle problematiche climatiche e ambientali emergono interrogativi e giustificate perplessità in merito a un’interpretazione del concetto di crescita economica. Una crescita che in troppi, e per troppo tempo, hanno seguitato a intendere in modo forse inesatto o non del tutto pertinente. Una crescita perseguita senza porre attenzione ad aspetti di continuità e di tutela, nella pressoché totale assenza di valori, stabilità e rispetto.
Un errore di interpretazione, potremmo dire, che ha spianato la strada a un processo che stava portando nella direzione sbagliata, senza che ce ne rendessimo conto.
Niente mostrava la necessità di variare i ritmi di sviluppo fintanto che gli effetti collaterali dell’inarrestabile incremento dei volumi produttivi, dei consumi, della domanda, dei fatturati e dei profitti – ritenuti da tutti come la vera strada maestra – non si sono palesati in tutta la loro veemenza.
Questa visione, e l’enfasi testarda con cui seguitiamo a perseguirla, non consente di porre la giusta attenzione ai fattori più importanti, in un’ottica di continuità. E, cioè, sulla capacità di produrre e consumare in modo intelligente, evitando di depredare le risorse naturali del Pianeta da un lato, intasandolo di rifiuti dall’altro. Limitando l’uso di modalità produttive aggressive che necessitano di una mano d’opera spesso minorile, sottoposta a un lavoro deregolamentato, illegale e indiscriminato.
Tuttavia, ci muoviamo ancora come se non avessimo compreso l’importanza di perseguire, di concerto alla cosiddetta crescita, un sempre più necessario equilibrio fra le risorse impiegate e la loro capacità di riprodursi; il principio base della sostenibilità. Ai ritmi attuali, infatti, i pesanti squilibri che stiamo arrecando agli ecosistemi naturali, a fronte di atteggiamenti palesemente errati, i cui effetti stanno per diventare irreversibili, dovrebbero indurre a serissime riflessioni.
Crescita economica, miti da sfatare
L’errata percezione di cosa sia realmente la crescita può essere la causa, o una delle cause, di questa situazione di pericolo?
Non possiamo escluderlo.
A supporto di questa congettura si può provare a comprendere cosa sia la crescita in Natura facendo un raffronto, ovviamente semplicistico, tra quello che fa Madre Natura e quello che facciamo noi come individui, per capire se vi siano delle dissonanze che, una volta appianate, potrebbero aiutare a tracciare un percorso finalmente più consono.
La crescita in natura è un evento molto complesso che interessa lo sviluppo di fattori e condizioni endogene ed esogene, messe in atto volutamente o istintivamente, dagli organismi viventi. È un processo funzionale allo sviluppo e alla sopravvivenza di ogni specie animale e vegetale presente sul Pianeta che ha consentito ad ogni cellula di arrivare, in vita, fino a noi.
Vita e Crescita, dunque, possono essere viste, e perseguite, come complementari fino al punto da significare sostanzialmente la stessa cosa. Perché senza vita non ci può essere crescita e senza crescita non ci può essere vita.
Semplificando il più possibile, si potrebbe ritenere che i sistemi economici, intesi come “organismi viventi”, non si discostino troppo da questo principio di funzionamento. Tuttavia, è prassi consolidata quella di intendere la crescita economica nella sua accezione più semplicistica, banalizzando un evento che, senza l’apporto di tutti i suoi fondamentali elementi, potrebbe spingere a commettere errori nel provare a perseguirlo; perseguendo una crescita che nella realtà non è vera crescita!
Molto è attribuibile al fatto che la crescita economica, un evento anch’esso complesso, venga perseguita spesso nella sola oscillazione degli indicatori numerici. E questo, in presenza di condizioni assimilabili a quelle che caratterizzano la crescita degli esseri viventi, potrebbe essere una metodologia realmente poco rappresentativa. Pertanto, il solo incremento, o decremento, dei parametri quantificabili, attraverso una misurazione empirica dei “numeri” di riferimento, comunemente usati per comprendere un fenomeno complesso e articolato come la crescita, per definire come perseguirla, e se la stessa sia stata raggiunta, o meno, potrebbe risultare una metrica non sufficientemente esaustiva.
Eppure, l’utilizzo di questi criteri di valutazione e l’analisi semplicistica del differenziale fra un valore iniziale e uno finale è ancora ritenuta corretta, anzi come l’unica che abbia senso. Ma se la sua attendibilità fosse messa in discussione, anche solo per un attimo, ovvero se la sua sussistenza (come parametro isolato) iniziasse a mostrare qualche segno di cedimento, non si potrebbe allora escludere che tale incompleta visione della crescita economica sia, effettivamente da ritenersi quale responsabile, o corresponsabile, di una situazione paradossale; uno sforzo enorme volto a perseguire obiettivi illusori e fuorvianti di una crescita che, nella realtà, non è crescita.
Se venisse constatata la fondatezza di questo semplicistico ragionamento si potrebbe considerare l’ipotesi di legare e intendere la crescita economica a molti altri fattori oggettivi e rappresentativi che potrebbero essere introdotti in una sorta di nuovo algoritmo contenente valori e fattori non solo numerici, oltre a quelli squisitamente economici e finanziari, che certifichino la reale capacità di un soggetto di generare continuità, innanzitutto.
Se dovesse invece prevalere la convinzione attuale, che vede la crescita come la mera misurazione del differenziale fra le condizioni numeriche iniziali e quelle finali, in un intervallo di tempo preso a riferimento (e cioè se la crescita seguiterà ad essere vista, e perseguita prendendo a riferimento il mero incremento, o decremento, di numeri, volumi, consumi e fatturati), rischieremmo di profondere grossi sforzi per inseguire qualcosa di effimero, illusorio e dannoso. Un risultato errato e fuorviante che si discosta, anche parecchio, dalla crescita reale e che potrebbe presentarci, molto presto, un conto salatissimo, forse impossibile da sostenere.
Provando ad analizzare le probabili cause di questa sorta di “malinteso” riguardo, appunto, a un limitato o fallace concetto di crescita economica, si potrebbe ipotizzare che questo sia attribuibile, fra le altre ragioni, alla tendenza ad associare la parola crescita a una banale misurazione dei valori incrementali di riferimento, generalmente intesi come l’”aumento di…” o lo “sviluppo di…” Crescita dell’occupazione, crescita della disoccupazione, crescita della temperatura, crescita dei prezzi, crescita dei fatturati e così via all’infinito. Anche lo “sviluppo economico” è spesso confuso e inter-scambiato senza soluzione di continuità con la “crescita economica” ma questa visione, rimasta inattaccabile per troppo tempo, comincia finalmente ad incontrare qualche timido disaccordo.
Compaiono, infatti, pacati disconoscimenti in merito ad una concezione di crescita economica intesa in modo alquanto semplicistico – secondo alcuni – riconducibile, appunto, al mero incremento dei valori numerici di riferimento. Ma la sensazione è che si tenda a confondere la crescita – che è un fenomeno importante e complesso – con il mero incremento numerico di una qualsiasi entità misurabile. E questo, inevitabilmente, confonde le idee e poi le strategie, di una crescita (reale) che, mai come adesso, meriterebbe di essere perseguita nel suo vero e più profondo significato.
La stessa raffigurazione grafica della crescita, che è sempre evidenziata attraverso la rappresentazione di una linea o di una curva che deve testardamente tendere verso l’alto, è un ulteriore conferma di un’attribuzione non del tutto pertinente al reale significato di crescita.
Non significa che la crescita non possa essere intesa come qualcosa che debba anche poter proiettare e innalzare verso l’alto le performances, anche a sé stanti, del soggetto analizzato. Poiché la crescita può senz’altro corrispondere a una più o meno marcata variazione in aumento dei valori presi a indagine. Ma la crescita economica, a mio parere, dovrebbe necessariamente integrare e contemplare la presenza di elementi di ancoraggio al terreno, ovvero lo sviluppo di “fondamenta” che dovrebbero sempre precedere e supportare l’avvio di un percorso verticale. Senza aver prima posto delle solide basi è impossibile, o è molto pericoloso, spingersi verso l’alto.
Questo dal punto di vista strutturale.
Vi è poi un fattore di tipo cognitivo, ugualmente se non addirittura più importante e altrettanto necessario, legato alla capacità di leggere e interpretare costantemente i segnali provenienti dall’esterno e da tutti gli scenari circostanti.
La vita degli esseri viventi, ad esempio, come quella di tutti i soggetti economici, avviene in un contesto in continuo mutamento, fattori dinamici e imprevedibili che impongono una costante attenzione volta a cogliere anche il più piccolo cambiamento, che può nuocere oppure favorire. La crescita, pertanto, dovrebbe sempre essere perseguita prestando una grande attenzione e, dunque, una buona capacità di comprendere e interpretare, in tempo reale, cosa stia avvenendo intorno a noi. È un’attitudine che va sviluppata, oltre che frutto di fattori peculiari e innati, ed è una delle abilità più importanti tra quelle coinvolte all’interno del complesso processo di crescita.
L’età adulta, ad esempio, corrisponde quasi sempre – oltre al potenziamento corporeo strutturale – allo sviluppo delle capacità di comprensione del mondo esterno, elaborando in tempo reale ogni informazione che riusciamo a cogliere al preciso scopo di non metterci nei guai, ma anche per riuscire a intercettare i fattori e gli elementi a noi favorevoli, funzionali al nostro vivere. Abbiamo cioè necessità di capire, senza margini di errore, cosa stia avvenendo là fuori, prima di elaborare, discernere e valutare se e come muoverci. Dobbiamo porre in atto tutte le eventuali manovre difensive, ma anche quelle aggressive – se necessario – prima che gli eventi diventino ostili o per evitare che ci sfuggano delle opportunità importanti.
Serve dunque una forte attitudine e una grande abilità di lettura e interpretazione del più piccolo cenno di cambiamento che può essere favorevole o sfavorevole. Condizioni sempre mutevoli dei fattori esterni che si devono costantemente raffrontare alle condizioni interne, peculiari alla nostra struttura, alle nostre capacità e ai nostri obiettivi da raggiungere. Questo, perché la crescita richiede anche un preciso e marcato impegno volto a tutelare il nostro essere, rafforzandolo e migliorandolo di continuo.
Siamo però in grado di ritenere che queste importanti abilità di adattamento, di spostamento, di lettura e di analisi – comuni a tutti gli esseri viventi – siano integrati nei dettami della crescita economica moderna? Che siano loro a dare i giusti impulsi allo scenario economico-produttivo dei giorni nostri? In ambito individuale, probabilmente sì. In quello collettivo, non ne sono sicuro.
Il deteriorarsi delle condizioni ambientali e le gravi alterazioni arrecate dall’uomo agli ecosistemi naturali, verso un loro lento ma inesorabile decadimento, potrebbe essere – ad esempio – uno di quei cambiamenti importanti e dannosi a cui i sistemi economici sembra non diano il giusto peso, seguitando a non prestare la doverosa attenzione. Un errore di valutazione o una leggerezza arrogante che hanno portato a una presa di coscienza tardiva a cui è seguito un colpevole e insensato rimando delle necessarie e urgenti contromisure.
Provando a comprendere le logiche sottostanti e le cause all’origine di questo grave lassismo, non si capisce se esso sia dovuto ad una sottostima del problema, se ancora in troppi non abbiano compreso con chiarezza cosa stia realmente accadendo o se per una qualche incomprensibile ragione si scelga coscientemente di non intervenire.
O ancora, se interessi economici di segno opposto stiano ostacolando l’avvio di contromisure che richiedono sacrifici immensi e una preparazione, anche logistica, di cui forse non disponiamo. O, piuttosto, che il sopravvento di forme di indulgenza diffusa, a caratterizzare una reazione quasi inerme siano dovute alla consapevolezza che la sostenibilità, così tardiva, richiede investimenti tanto ingenti da indurre, egoisticamente, a procrastinare.
L’importanza di rafforzare e consolidare i valori basilari o fondanti, quelli che garantiscono stabilità nell’ascesa verso l’alto, o nello sviluppo verticale, è molto ben rappresentata da una tecnica costruttiva primitiva che prevede la costruzione di un forte ancoraggio al terreno sottostante prima di procedere con la realizzazione della struttura sovrastante; le fondamenta, che devono essere tanto più profonde e resistenti, quanto più alta e pesante è la struttura principale che si intende realizzare. Dalle palafitte ai grattacieli, l’ingegneria delle costruzioni non ha mai potuto discostarsi da queste elementari regole, che sono leggi della Fisica prima che dell’Ingegneria costruttiva.
Per crescere, insomma, bisogna innanzitutto ancorarsi al terreno. Nei contesti economici, tuttavia (e questo si può riscontrare tanto nella gestione delle imprese quanto nelle politiche di sviluppo e di bilancio messe in atto dai Governi), la crescita non viene quasi mai intesa, raffigurata e perseguita ponendo la giusta attenzione a questo importante principio di fondo.
Appare, cioè, che non vi sia particolare attenzione al rispetto dell’elemento “equilibrio” ovvero il giusto e imprescindibile rapporto fra lo sviluppo in altezza della struttura e l’impegno a garantire che la stessa sia costantemente controbilanciata da tutti gli elementi di ancoraggio al terreno. La sensazione è che non venga (più) dato valore al fattore tempo in un’era, la nostra attuale, in cui viene posta attenzione solamente all’oggi e quasi (più) al domani. Non vengono cioè sviluppati i fattori tesi alla continuità e questo, inevitabilmente, spinge a ritenere prioritari i fattori numerici correnti anche laddove gli stessi non siano supportati dai necessari elementi rafforzativi, come i valori fondanti ma anche come la stessa capacità di gestire il presente, in ottica soprattutto futura.
Un accurato impegno, sarebbe allora necessario, volto a raffermare una continuità intergenerazionale possibile solo grazie alla costruzione e al mantenimento di una sorta di filo conduttore in un ideale “passaggio di testimone” che richiede la necessaria e imprescindibile presenza di forti elementi caratterizzanti e perfino identitari, oltre ad attitudini e know how funzionali alla gestione del presente.
La velocità dei ritmi di sviluppo attuali ha infatti spinto a modificare, alterandoli, i corretti e doverosi paradigmi di crescita, sintetizzandoli, oggi, nell’evoluzione solo numerica di tipo meramente incrementale. Hanno perso gradualmente valore, fino ad essere del tutto delegittimati, i fattori e gli elementi, anche squisitamente economici, in grado di dare stabilità e continuità, nel tempo.
Vi è cioè la tendenza a perseguire politiche di sviluppo che non prestino un’adeguata attenzione al rapporto fra le “radici” e il “fusto”, che dovrebbe invece posizionarsi in un ideale e imprescindibile punto centrale o di equilibrio. Un equilibrio che richiede continui spostamenti e cambi di rotta, flebili o marcati, ma sempre necessari – così come nel guidare una bicicletta – tesi a mantenere il soggetto costantemente bilanciato onde evitare, com’è ovvio, che caschi a terra.
Ciò presuppone una sempre più spiccata abilità di lettura e interpretazione dei segnali esterni e di una rapidità, cosciente e razionale di affrontarli: comprendere gli scenari e riuscire a cavalcarli, anziché subirli.
In economia, questa abilità si traduce, o si dovrebbe tradurre, nell’impegno a sviluppare migliori attitudini a percepire ogni mutamento del mondo attuale, del mercato, della domanda, dell’offerta, delle strategie economiche attuate dai competitor, anch’esse mutevoli allo stesso mutare, costante e incessante, degli scenari economici e anche sociali. Tutto si muove ad una velocità inedita e questi stessi ritmi, che potremmo ritenere folli, probabilmente a ragione, per come li vediamo adesso, non potranno che accelerare.
Un altro aspetto peculiare alla crescita, specie negli ambiti collettivi, che sembra godere anch’esso di poca considerazione, fino a venir talvolta disatteso, è l’impegno a evitare che la crescita, anche nostra come individui, oltre a quella di qualsivoglia soggetto economico, possa nuocere all’ambiente circostante o a qualunque altro soggetto vivente che entri in contatto con noi, in modo diretto o indiretto. Una sorta di rapporto causa–effetto che gli scenari economici moderni mettono in un rilievo sempre più evidente, nonostante uno scarso impegno a contenerlo o perfino a riconoscerlo.
È la diretta conseguenza di una globalizzazione che lega tutto e tutti a doppio filo e che richiede, per la salvaguardia degli interessi comuni, un impegno da parte di tutti a garantire condizioni sempre favorevoli, nel nostro stesso interesse. Condotte di attenzione, se non proprio di rispetto, che, laddove vengano disattese, finiscono per rivelarsi controproducenti. Un fair play che non va inteso e perpetrato come dimostrazione di un altruismo etico fine a sé stesso, per quanto importante, ma quale strategia di tutela dell’intero ecosistema. Una sensibilità doverosa, di questi tempi affannosi e un po’ convulsi che sembrano (purtroppo) premiare solamente gli atteggiamenti scaltri, opportunistici e talvolta anche furbeschi.
Ogni comportamento scorretto che immettiamo nell’”ambiente” perpetrato nel nostro esclusivo interesse e incurante del “bene comune” si rivelerà nocivo – presto o tardi – anche per noi. Una visione Zen, per certi aspetti, che potrebbe apparire antitetica, visti i tempi, ma che, al contrario, meriterebbe di essere compresa e rispettata, mai come adesso.
La crescita in ambiti socioeconomici, esattamente come avviene in Natura, dovrebbe sempre integrare un concetto di stabilità e di continuità; due fattori a cui non viene sempre dato il giusto peso. È una “leggerezza” che potrebbe causare, presto o tardi, effetti nocivi, perfino devastanti, con cui dovremo fare i conti.
Se queste perplessità trovassero una qualche corrispondenza oggettiva, sarebbe doveroso riflettere. Quanto meno, per non rischiare di compromettere gli sforzi compiuti per conquistare un certo innegabile benessere. E, forse, prima ancora, per evitare di danneggiare ulteriormente l’ambiente che stiamo rendendo sempre meno ospitale.